Colosseo (Anfiteatro Flavio)

AMPHITHEATRUM FLAVIUM, ordinariamente noto come Colosseo,1 costruito da Vespasiano, nella depressione tra la Velia, l’Esquilino e il Celio, sito precedentemente occupato dallo stagnum della domus Aurea di Nerone (Suet. Vesp. 9; Mart. de spect. 2. 5; Aur. Vict. Caes. 9. 7). Vespasiano portò la struttura in cima alla seconda arcata del muro esterno e del maenianum secundum della cavea (vedi sotto), e la dedicò prima della sua morte nel 79 d.C. (Chronogr. a. 354, P. 146). Tito aggiunse il terzo e quarto piano2 (ib.), e celebrò la dedicazione dell’edificio ampliato nell’80 con magnifici giochi che durarono cento giorni (Suet. Tito 7; Cass. Dio lxvi. 25; Hieron. a. Abr. 2095; Eutrop. vii. 21; Cohen, Tit. 399, 400). Domiziano è detto aver completato l’edificio ad clipea (Chron. ib.) che probabilmente si riferisce agli scudi di bronzo che erano posti direttamente sotto il cornicione più alto (cf. Cohen, Tit. 399) e alle aggiunte all’interno 3 (HJ 282).

Ci sono indicazioni di modifiche o aggiunte da parte di Nerva e Traiano(CIL vi. 32254-5; per l’iscrizione del primo vedi Spinazzola, Anfiteatro Flavio (Napoli, 1907) 27 sqq.), e fu restaurato da Antonino Pio (Hist. Aug. Pius 8). Nel 217 fu colpito da un fulmine (Cass. Dio lxxviii. 25), e così gravemente danneggiato che nessun combattimento di gladiatori poté più essere tenuto nell’edificio fino al 222-223, quando le riparazioni iniziate da Elagabalo (Hist. Aug. Elagab. 17) furono almeno parzialmente completate da Alessandro Severo (Hist. Aug. Alex. Sev. 24; Cohen, Alex. Sev. 468, 469), anche se sembrano essere continuate durante il regno di Gordiano III (Hist. Aug. Max. et Balb. i. 4; Cohen, Gord. III. 165, 166). Nel 250 l’edificio fu presumibilmente restaurato da Decio, dopo un incendio causato da un altro colpo di fulmine (Hieron. a. Abr. 2268). Fu ferito dal terremoto del 442 (Paul. Diac. hist. Rom. xiii. 16; BC 1917, 13-17), e restauri di diversi funzionari sono registrati negli anni immediatamente successivi (CIL vi. 32086-32089), e di nuovo nel 470 (CIL vi. 32091-2, 32188-9). Alcune delle iscrizioni poste nella prima occasione in onore di Teodosio II e Valentiniano III furono tagliate su blocchi di marmo che originariamente erano serviti da sedili. Le riparazioni furono fatte dopo un altro terremoto dal prefetto Basilio, che fu probabilmente console nel 508 (CIL vi. 32094), e infine da Eutharich, il genero di Teodorico, in preparazione delle ultime venationes registrate, che ebbero luogo nel 523 (Cassiod. Var. v. 42). Gli ultimi combattimenti di gladiatori avvennero nel 404 (Theodoret v. 26).

Il Colosseo fu ferito da un terremoto nel pontificato di Leone IV (nell’847). Nei secoli XI e XII case e ‘cryptae’ isolate all’interno del Colosseo sono frequentemente menzionate nei documenti degli archivi di S. Maria Nova, come se fosse già in rovina (Arch. Soc. Rom. St. Patr. xxiii. (1900) 204, 216; xxv. (1902) ; xxvi. (1903) 38, 41, 57, 79). La distruzione graduale continuò fino al XVIII secolo, mentre i lavori di restauro sono andati avanti ad intermittenza dall’inizio del XIX (De Angelis, Relazione 8-15). Il lato nord del muro esterno è in piedi, comprendente gli archi numerati da xxiii a LIV, con la parte dell’edificio che si trova tra esso e il muro interno che sostiene il colonnato, e praticamente l’intero scheletro della struttura tra questo muro interno e l’arena, cioè i muri di cinta e radianti su cui poggiava la cavea con i suoi sedili di marmo. I sedili di marmo e il rivestimento della cavea, insieme a tutto ciò che era di natura decorativa,’ sono scomparsi.

L’anfiteatro (111.3) è di forma ellittica. Il suo asse principale, che corre da nord-ovest a sud-est, è lungo 188 metri e il suo asse minore 156. L’esterno è costruito con grandi blocchi di travertino – un fatto che contribuì notevolmente allo stupore di Costanzo (Amm. Marcell. xvi. 10. 14); e all’interno Vespasiano eresse uno scheletro di blocchi di travertino dove si doveva resistere alla maggiore pressione, che non fu portato più in alto del secondo piano (Ill. 4). Il resto dei muri interni sono di blocchi di e di cemento, con e senza rivestimento di mattoni, il primo usato dove c’era più pressione. Un po’ di tufo e sperone è anche impiegato nella parte inferiore dei muri interni. Il muro esterno, o facciata, è alto 48,50 metri, e si trova su uno stilobate, che è sollevato di due passi un pavimento di travertino. Questo pavimento è largo 17,50 metri e si estende intorno a tutto l’edificio. Il suo bordo esterno è segnato da una fila di cippi di pietra – cinque dei quali sul lato est sono in situ (BC 1895, 117-119; NS 1895, 101, 227) – con fori tagliati sul lato interno per tenere le estremità delle barriere che collegano questi pali con il muro dell’edificio.4 Il muro esterno stesso è diviso in quattro piani, di cui i tre inferiori consistono in file di arcate aperte, uno stile di architettura preso in prestito dal teatro di Marcello. Gli archi dell’arcata inferiore sono alti 7,05 metri e larghi 4,20; i pilastri tra loro sono larghi 2,40 metri e profondi 2,70. Davanti a questi pilastri ci sono colonne impegnate dell’ordine dorico, che sostengono una trabeazione alta 2,35 metri, ma senza le caratteristiche distintive di questo ordine. C’erano ottanta archi nel portico inferiore, di cui i quattro alle estremità dei due assi formavano gli ingressi principali all’anfiteatro, e non erano numerati. Gli altri settantasei erano numerati (CIL vi. 1796f = 32263), i numeri sono incisi sulla facciata proprio sotto l’architrave. Sopra la trabeazione c’è un attico della stessa altezza, con sporgenze sopra le colonne, che servono come piedistalli per le colonne impegnate della seconda arcata. Questa arcata ha le stesse dimensioni della più bassa, tranne che gli archi sono alti solo 6,45 metri. Le semicolonne sono di ordine ionico, e a loro volta sostengono una trabeazione di 2,10 metri di altezza, ma non in perfetto stile ionico. Al di sopra di questa c’è un secondo attico, alto 1,95 metri, su cui poggiano le colonne della terza arcata. Quest’ultima è di ordine corinzio e i suoi archi sono alti 6,40 metri. Sopra questa c’è una terza trabeazione e un attico. In ciascuna della seconda e terza arcata c’era una statua.

L’attico sopra la terza arcata è alto 2,10 metri, ed è trafitto da piccole finestre rettangolari sopra ogni secondo arco. Su di esso poggia la divisione superiore del muro, che è solida e ornata da lesene corinzie piatte al posto delle semicolonne delle arcate inferiori, ma mostra numerose tracce di una rude ricostruzione nel terzo secolo (Lanciani, Distruzione di Roma antica, figg. 9, 10). Sopra i pilastri c’è una trabeazione, e tra una coppia di pilastri su due c’è una finestra tagliata attraverso il muro5 (vedi sotto, p. 9). Sopra queste aperture c’è una fila di mensole – tre tra ogni coppia di pilastri. In queste mensole ci sono le prese per gli alberi che sporgevano verso l’alto attraverso i fori corrispondenti nel cornicione e sostenevano le tende (velaria) che proteggevano la cavea (Hist. Aug. Comm. 15; cf. Mau, Pompei, 223, Fig. III).

In questo muro esterno, ad una distanza di 5,80 metri, c’è un secondo muro con archi corrispondenti; e 4,50 metri dentro questo un terzo che divide l’edificio in due sezioni principali. Al piano inferiore, tra questi tre muri, ci sono due alti corridoi ad arco o ambulatori, che circondano tutto l’edificio; al secondo piano, due corridoi come quelli sottostanti, tranne che quello interno è diviso in due, uno superiore e uno inferiore; e al terzo piano altri due. Nel corridoio interno al secondo piano, e in entrambi al terzo, ci sono rampe di scale disposte in modo molto ingegnoso, che portano all’ultimo piano e permettono l’accesso alla parte superiore del secondo ordine di posti. All’interno del più interno dei tre muri appena menzionati ci sono altri muri paralleli ad esso, e muri radianti, colpiti da alcuni punti all’interno dell’ovale e perpendicolari alla sua circonferenza. Questi muri a raggiera corrispondono in numero ai pilastri dell’arcata inferiore, e sono divisi in tre parti, in modo da lasciare spazio per altri due corridoi intorno all’edificio. Questo sistema di muri a raggiera sosteneva il pavimento inclinato (cavea) su cui erano collocate le file di sedili di marmo (gradus). Sotto, in corridoi e archi, ci sono altre rampe di scale che portano a tutte le parti della cavea, attraverso aperture chiamate vomitoria. Sono disposti in quattro.

L’arena stessa è ellittica, l’asse maggiore è lungo 86 metri e il minore 54. Tutto intorno all’arena c’era un recinto, costruito per proteggere gli spettatori dagli attacchi delle bestie selvagge, e dietro di esso uno stretto passaggio pavimentato di marmo. Sopra questo passaggio c’era il podio, una piattaforma sollevata di circa 4 metri sopra l’arena, su cui erano collocate le sedie di marmo degli spettatori più distinti. Queste sedie sembrano essere state assegnate alle corporazioni e ai funzionari, non agli individui in quanto tali, fino al tempo di Costantino, quando iniziarono ad essere assegnate alle famiglie e raramente agli individui. Questo continuò fino al quinto secolo, quando il possesso da parte di individui divenne più comune. I nomi di questi vari proprietari erano incisi nella pavimentazione del podio, sui sedili stessi, e sopra la cornice, e molte di queste iscrizioni sono state conservate (CIL vi. 32099-32248; BC 1880, 211-282). Quando un seggio passava da un proprietario ad un altro, il vecchio nome veniva cancellato e sostituito con uno nuovo. La parte anteriore del podio era protetta da una balaustra di bronzo.

Dal podio 6 la cavea si inclinava verso l’alto fino alla più interna delle tre pareti sopra descritte. Era divisa in sezioni (maeniana) da passaggi curvi e bassi muri (praecinctiones, baltei; la sezione inferiore (maenianum primum) conteneva circa venti file di sedili (gradus) e la sezione superiore (maenianum secundum), ulteriormente suddivisa in maenianum superius e inferius, circa sedici. Questi maeniana erano anche divisi in cunei, o sezioni cuneiformi, dai gradini e dalle navate dai vomitoria. I gradus erano ricoperti di marmo, e quando venivano assegnati a particolari corporazioni il nome veniva inciso sulla pietra. Undici iscrizioni di questo tipo sono state trovate (CIL vi. 32098 a-i, l, m), e indicano che lo spazio era assegnato su misura e non secondo il numero di persone (cfr. l’assegnazione ai Fratres Arvales, CILvi. 2059 =32363). Ogni singolo posto poteva, tuttavia, essere designato esattamente dal suo gradus, cuneus e numero, come si faceva altrove.

Dietro il maenianum secundum il muro si alzava ad un’altezza di 5 metriS sopra la cavea, ed era trafitto da porte e finestre comunicanti con il corridoio retrostante. Su questo muro c’era un colonnato corinzio, che insieme al muro esterno, sosteneva un tetto piatto. Le colonne erano di cipollino e granito, risalenti al periodo Flaviano.7 Dietro di esse, protetto dal tetto, c’era il maenianum summum in ligneis, che conteneva sedili di legno per le donne. Questi sedili erano accessibili dall’alto da un corridoio a volta, illuminato dalle finestre tra i pilastri (p. 8) come è stato supposto da Hulsen (Mitt. 1897, 334, 335). Sul tetto c’erano posti in piedi per i pullati, o le classi più povere della popolazione.8 La terrazza moderna è più bassa di questo tetto, e circa al livello del pavimento del corridoio dietro i sedili di legno. Dei quattro ingressi principali, quelli alle estremità nord e sud dell’asse minore erano per la famiglia imperiale, e gli archi qui erano più larghi e più altamente ornati degli altri. Per la decorazione a stucco vedi LR 381; Weege ap. Hoffmann (Vatik. Palast.) col. 145; Egger, Cod. Escurial 43, pp. 115-116; Heemskerck, ii. 58; WS 1902, 437-440; id. Festheft fur Bormann (xxiv. 2. 205); Rev. Arch. 1917, 2. 228; Mem. Am. Acad. iv. 41-43). L’ingresso a nord sembra essere stato collegato con l’Esquilino da un portico. Un ampio passaggio conduceva direttamente da questo ingresso al palco imperiale (pulvinar, cfr. Suet. Nero 12) sul podio. Un box corrispondente sul lato opposto del podio era probabilmente riservato al praefectus urbi. Gli ingressi alle estremità dell’asse maggiore conducevano direttamente nell’arena.

Il pavimento dell’arena, che doveva essere di legno, poggiava su alte sottostrutture, costituite da muri, alcuni dei quali seguono la curva dell’edificio, mentre altri sono paralleli all’asse maggiore. Poggiano su un pavimento di mattoni e sono alti da 5,50 a 6,08 metri. A queste sottostrutture si accede da passaggi sotterranei, sulle linee dell’asse maggiore e minore. Un altro di questi passaggi, simile ad un criptoportico, parte da una sottostruttura rialzata, che sporge un po’ oltre la linea del podio, non lontano ad est dell’ingresso statale sul lato sud, e conduce agli edifici di Claudio sul Celio, ed è solitamente attribuito a Commodo.9 Nelle sottostrutture ci sono tracce di tane per le bestie selvatiche, ascensori, e apparecchi meccanici di vario tipo, e furono presi provvedimenti per il drenaggio dell’acqua che scorre così abbondantemente in questa cavità e che fu portata via in una fogna che si collegava con quella che corre sotto la via S. Gregorio (Narducci, Fognatura della Città di Roma 65-70 e pl. 14; vedi Ill. 5). La muratura delle sottostrutture è databile dal I secolo alla fine del V.

L’affermazione nel Catalogo Regionale (Reg. III), che l’anfiteatro aveva 87.000 loca, non può riferirsi a persone ma a pedes, e anche così, è probabilmente errata, perché la capacità totale di posti a sedere non può aver superato i quarantacinque mila (BC 1894, 312-324), con posti in piedi sul tetto per circa altri cinquemila.

Nove frammenti pubblicati della Pianta di Marmo (FUR 55, 69, 13 a-g) rappresentano parti dell’anfiteatro, e ce ne sono alcuni altri di poca importanza e di posizione incerta (HJ 294-296).

Per la storia del Colosseo, vedi Babucke, Geschichte des Kolos- 11,/PAGE> seums, Knigsberg, 1899; Marangoni, Delle memorie sagre e profane dell’ Anfiteatro Flavio, Roma, 1746; F. Gori, Le memorie storiche, i giuochi e gli scavi dell’ Anfiteatro Flavio, Roma, 1874; v. Reumont, Geschichte der Stadt Rom, pass.; Gregorovius, Geschichte der Stadt Rom, pass.; Cerasoli, Nuovi Documenti sulle vicende del Colosseo dal Secolo XIII al XVIII, BC 1902, 300-315; Lanciani, BC 1917, 13-17; DAP ser. ii. vol. xv. 368; Colagrossi, Anfiteatro Flavio, Roma, 1913; Leclercq in Cabrol, Dict. i. 1614-1682.

Per breve storia, tavole e descrizione, vedi Beschreibung der Stadt Rom iii. 1. 319-336; Canina, Edifizi di Roma Antica iv. 164-177; Reber, Die Ruinen Roms 407-421; Taylor e Cresy, Architectural Antiquities of Rome, London 1874, 114-129; Dreger, Das flavische Amphitheater in seiner ersten Gestalt, Allgemeine Bauzeitung, 1896, 40-60; F. Guadet, Etude sur la construction et la disposition du Colossee, 1878; Petersen, vom alten Rom 2, 1900, 60 ss; Durm, 668-689; RE vi. 2516-2525 (Gall); HJ 282-298. Cfr. Mem. L. 5. xvii. 519, 520; ASA 92-96.

Per i restauri, vedi Knapp in Beschreibung der Stadt Rom, Bilderheft 2 (il migliore); Uggeri in Giornate pittoriche degli Edifizi di Roma xxiii. 1816; Durm, loc. cit. fig. 475; Mitt. 1897, 334; D’Espouy, Monuments ii. 111-119; Fragments, ii. 92-94; Cozzo in Architettura ed Arti Decorative, ii. (1922-3) 273-291; Rivoira, RA 114-119; Lugli, ZA 119-128.

Per le iscrizioni trovate nel Colosseo, vedi CIL vi. 32085-32263;BC 1880, 211-282, pls. xxi.-xxiii. La silloge di iscrizioni a cui si allude in CIL come in corso di preparazione da parte di Spinazzola non è ancora apparsa.

1 Per il nome vedi COLOSSUS NERONIS: fu trasferito all’anfiteatro solo dopo il 1000 d.C. (HCh 265, 380, 394, 426; HFP 52; BC 1926, 53-64).

2 La parola usata è ‘gradus,’ che si applica all’interno; Vespasiano può, pensa Hulsen, aver completato gran parte dell’ordine corinzio dell’esterno.

3 Leopold (Med. Nederl. Hist. Inst. Rome. iv. (1924) 39-76) pensa che il lavoro di Vespasiano si sia esteso fino alla cima dell’arcata corinzia. Von Gerkan ha portato avanti la stessa idea, aggiungendo una serie di osservazioni in dettaglio. (Vedi Mitt. 1925, 11-50.) Ma il rilievo degli Haterii, in cui è mostrato l’arco di Tito (vedi p. 45 n. 2), non può essere usato come prova per la condizione dell’anfiteatro alla fine del regno di Vespasiano. Come ha sottolineato Hulsen, Tito salì al trono nel giugno del 79, mentre l’iscrizione dell’Arvales sulla distribuzione dei posti a sedere appartiene al giugno o luglio dell’80; ed è abbastanza per accreditarlo con il completamento del terzo e quarto piano su linee già stabilite, senza supporre che abbia anche apportato modifiche fondamentali in ciò che Vespasiano aveva già costruito.

4 Sembra più probabile che la barriera fosse concentrica; perché non ci sono disposizioni corrispondenti sui pilastri dell’edificio stesso per tenere le altre estremità delle travi. Queste sarebbero state sostenute da anelli di ferro fissati nei fori dei cippi (Mitt. 1925, 12-13).

5 Cfr. Mitt. 1897, 334-; 1925, 30-33. Nei rimanenti spazi tra i pilastri erano fissati i clipei (Colagrossi, Anfiteatro Flavio, 45-47: 257-264).

6 Va aggiunto che il muro con le nicchie è sul lato esterno del passaggio a volta che sosteneva il podio.

7 Questo, data la tardiva ricostruzione del muro esterno, non si applica necessariamente al colonnato nella sua forma definitiva.

8 Secondo i restauri di Taylor e Cresy (Testo fig. 1) e di Canina, che sono adottati da Von Gerkan (Mitt. 1925, 18), c’era un portico coperto in cima, il cui tetto arrivava fino alla sommità del muro esterno. Le obiezioni di Durm al restauro di Hulsen (Testo fig. 2) (669 sqq) – che gli spettatori sul tetto sarebbero stati esposti alle intemperie e incapaci di vedere – sono quindi entrambe soddisfatte.

9 Lugli lo assegna a Domiziano (Mem. Am. Acad. cit.).

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