Montanus
Montanus (1), un nativo di Ardabau, un villaggio della Frigia, che, nella seconda metà del II secolo, diede origine ad un diffuso scisma, di cui rimasero tracce per secoli.
I. Ascesa del montanismo.- Il nome Montanus non era raro nel distretto. Si trova in un’iscrizione frigia (Le Bas, 755) e in altre tre delle province vicine (Boeckh-3662 Cyzicus, 4071 Ancyra, 4187 Amasia). Montanus era stato originariamente un pagano, e secondo Didimo (de Trin. iii. 41) un sacerdote idolo. Gli epiteti “abscissus” e “semivir” applicati a lui da Girolamo (Ep. ad Marcellam, vol. i. 186) suggeriscono che Girolamo potrebbe averlo ritenuto un sacerdote di Cibele. Che dopo la sua conversione sia diventato sacerdote o vescovo non ci sono prove. Egli insegnò che le rivelazioni soprannaturali di Dio non finirono con gli apostoli, ma che manifestazioni ancora più meravigliose dell’energia divina potevano essere attese sotto la dispensazione del Paraclito. Si afferma che Montano sostenesse di essere il Paraclito; ma noi crediamo che ciò sia semplicemente derivato dal fatto che egli sosteneva di essere un organo ispirato attraverso il quale il Paraclito parlava, e che di conseguenza le sue parole venivano pronunciate e accettate come quelle di quell’Essere Divino. Ci viene detto che Montanus sosteneva di essere un profeta e parlava in una sorta di possessione o estasi. Egli sosteneva che la relazione tra un profeta e l’Essere Divino che lo ispirava era la stessa tra uno strumento musicale e colui che lo suonava; di conseguenza le parole ispirate di un profeta non dovevano essere considerate come quelle dell’oratore umano. In un frammento della sua profezia conservato da Epifanio egli dice: “Io sono venuto, non un angelo o un ambasciatore, ma Dio Padre”. Vedi anche Didimo (u.s.). È chiaro che Montano qui non parlava in nome proprio, ma pronunciava parole che supponeva Dio gli avesse messo in bocca; e se parlava allo stesso modo in nome del Paraclito non ne consegue che affermasse di essere il Paraclito.
Le sue profezie furono presto superate da due discepole, Prisca o Priscilla e Massimilla, che caddero in strane estasi, pronunciando in esse ciò che Montano e i suoi seguaci consideravano profezie divine. Erano state sposate, avevano lasciato i loro mariti, Montano le aveva dato il rango di vergini nella chiesa, ed erano ampiamente venerate come profetesse. Ma molto diverso era il giudizio sobrio formato su di loro da alcuni dei vescovi vicini. La Frigia era un paese in cui la devozione pagana si esibiva nella forma più fanatica, e agli osservatori tranquilli sembrava che le frenetiche espressioni delle profetesse montaniste fossero molto meno simili a qualsiasi precedente manifestazione del dono profetico tra i cristiani di quanto lo fossero a quelle orge pagane che la chiesa era stata solita attribuire all’operazione dei demoni. Il partito della chiesa guardava ai montanisti come se avessero deliberatamente disprezzato l’avvertimento di nostro Signore di guardarsi dai falsi profeti, e come se fossero stati di conseguenza ingannati da Satana, nel cui potere si erano messi accettando come insegnanti divine donne possedute da spiriti maligni. I montanisti consideravano i capi della chiesa come uomini che facevano dispetto allo Spirito di Dio offrendo l’indignazione dell’esorcismo a coloro che Egli aveva scelto come suoi organi di comunicazione con la chiesa. Non sembra che ci si offendesse per la sostanza delle profezie montaniste. Al contrario, si ammetteva che avevano una certa plausibilità; quando con le loro congratulazioni e promesse a coloro che le accettavano mescolavano una giusta proporzione di rimproveri e avvertimenti, questo veniva attribuito all’arte più profonda di Satana. Ciò che condannava le profezie nella mente delle autorità ecclesiastiche era l’estasi frenetica in cui venivano pronunciate.
La questione delle diverse caratteristiche della profezia reale e finta fu il principale argomento di discussione nella prima fase della controversia montanista. Potrebbe essere stata trattata da Melito nella sua opera sulla profezia; fu certamente il soggetto di quella di Milziade περὶ τοῦ μὴ δεῖν προφήτηϖ ἐν ἐκστάσει λαλεῖν; fu toccata in un primo scritto anonimo contro il montanismo, di cui Eusebio conserva grandi frammenti (v. 16, 17). Qualcosa di più di questa polemica è quasi certamente conservato da Epifanio, che spesso incorpora le fatiche di scrittori precedenti e la cui sezione sul montanismo contiene una discussione che chiaramente non è propria di Epifanio, ma una sopravvivenza della prima fase della controversia. Apprendiamo che i montanisti portarono come esempi scritturali di estasi il testo “il Signore mandò un sonno profondo (ἔκστασιν) su Adamo”, che Davide disse nella sua fretta (ἐν ἐκστάσει) “tutti gli uomini sono bugiardi”, e che la stessa parola è usata per la visione che ammonì Pietro ad accettare l’invito di Cornelio. L’avversario ortodosso fa notare che il “non così” di Pietro dimostra che nella sua estasi non ha perso il suo giudizio e la sua volontà individuale. Altri esempi simili sono citati dall’O.T.
Lo stesso argomento fu probabilmente perseguito da Clemente di Alessandria, che promise di scrivere sulla profezia contro i Montanisti (Strom. iv. 13, p. 605). Egli lo nota come una caratteristica dei falsi profeti ἐν ἐκστάσει προεφήτευον ὡς ἂν Ἀποστάτου διάκονοι (i. 17, p. 369). Tertulliano senza dubbio difese la posizione montanista nella sua opera perduta in sei libri sull’estasi.
Nonostante la condanna del montanismo e la scomunica dei montanisti da parte dei vescovi vicini, esso continuava a diffondersi e a fare convertiti. I visitatori venivano da lontano per assistere ai meravigliosi fenomeni; 739 e i profeti condannati speravano di ribaltare il primo verdetto sfavorevole con la sentenza di un tribunale più grande. Ma tutti i principali vescovi dell’Asia Minore si dichiararono contrari. Alla fine fu fatto un tentativo di influenzare o annullare il giudizio dei cristiani asiatici con l’opinione dei loro fratelli al di là del mare. Non possiamo essere sicuri da quanto tempo Montano insegnasse, o da quanto tempo continuassero gli eccessi delle sue profetesse; ma nel 177 l’attenzione dell’Occidente fu chiamata per la prima volta a queste controversie, essendo stata sollecitata l’interferenza dei martiri di Lione, che allora soffrivano il carcere e si aspettavano la morte per la testimonianza di Cristo. Essi furono informati delle controversie dai loro fratelli dell’Asia Minore, la patria senza dubbio di molti dei cristiani gallici. Eusebio nella sua Cronaca assegna il 172 per l’inizio della profezia di Montano. Qualche anno in più sembra necessario per la crescita della nuova setta in Asia prima che essa si imponga all’attenzione dei cristiani stranieri, e la data di Epifanio 157 appare più probabile, e concorda con la data vaga di Didimo, “più di 100 anni dopo l’Ascensione”. Forse il 157 può essere la data della conversione di Montanus, 172 quella della sua condanna formale da parte delle autorità ecclesiastiche asiatiche.
Le chiese galliche furono consultate dagli ortodossi, dai montanisti o da entrambi? e quale risposta diedero i cristiani gallici? Eusebio ci dice solo che il loro giudizio fu pio e molto ortodosso, e che allegarono delle lettere che coloro che poi subirono il martirio scrissero mentre erano ancora in prigione ai fratelli dell’Asia e della Frigia e anche a Eleuterio, vescovo di Roma, supplicando (o negoziando, πρεσβεύοντες) per la pace delle chiese. Se, come è stato suggerito, l’ultima espressione significava implorare la rimozione della scomunica dai montanisti, Eusebio, che inizia il suo resoconto del montanismo descrivendolo come uno strumento di Satana, non avrebbe lodato tale consiglio come pio e ortodosso.
Pensiamo che i montanisti si siano appellati a Roma; che il partito della chiesa abbia sollecitato i buoni uffici dei loro connazionali stabiliti in Gallia, che scrissero a Eleuterio rappresentando il disturbo alla pace delle chiese (una frase probabilmente conservata da Eusebio dalla lettera stessa) che ne sarebbe derivato se la chiesa romana avesse approvato ciò che la chiesa in loco condannava. Non abbiamo ragione di pensare che Roma godesse allora di una tale supremazia che la sua revoca di una scomunica asiatica sarebbe stata tranquillamente accettata. Tuttavia i vescovi asiatici potrebbero essere ansiosi di sapere come la loro decisione si sarebbe presentata al giudizio di un estraneo a distanza. Per costui non ci sarebbe nulla di incredibile nelle speciali manifestazioni dello Spirito di Dio che si manifestano in Frigia, mentre l’insinuazione che la nuova profezia fosse ispirata da Satana potrebbe essere respinta dalla sua riconosciuta ortodossia, poiché tutto ciò che essa professava di rivelare tendeva alla gloria di Cristo e all’aumento della devozione cristiana. Per scongiurare, quindi, la possibile calamità di una rottura tra le chiese orientali e occidentali, le chiese galliche, sembrerebbe, non solo scrissero, ma inviarono Ireneo a Roma alla fine del 177 o all’inizio del 178. Questa ipotesi ci solleva dalla necessità di supporre che questa πρεσβεία non abbia avuto successo, mentre rende pienamente conto della necessità del suo invio.
Le Chiese asiatiche hanno presentato al mondo cristiano la giustificazione del loro comportamento. Il loro caso fu esposto da uno dei loro vescovi più eminenti, Claudio Apolinario di Hierapolis. Apolinario dà le firme di diversi vescovi che avevano indagato e condannato le profezie montaniste. Uno di questi, Sotas di Anchialus, sulla riva occidentale del Mar Nero, era morto quando Apolinarius scrisse; ma Aelius Publius Julius, vescovo della vicina colonia di Debeltus, dà la sua testimonianza giurata che Sotas aveva cercato di scacciare il demone da Priscilla ma era stato ostacolato dagli ipocriti. Apprendiamo da uno scrittore successivo che Zotico di Comana e Giuliano di Apamea tentarono analogamente di esorcizzare Maximilla, ma non gli fu permesso di farlo. Un’altra delle autorità di Apolinario aggiunge peso alla sua firma aggiungendo il titolo di martire, allora comunemente dato a coloro che hanno sfidato la prigionia o le torture per Cristo. Il risultato fu che la chiesa romana approvò la sentenza dei vescovi asiatici, come sappiamo indipendentemente da Tertulliano.
II. Per la storia del montanismo in Oriente dopo la sua definitiva separazione dalla chiesa, le nostre principali autorità sono i frammenti conservati da Eusebio di due scrittori, lo scrittore anonimo già menzionato e Apollonio di Efeso. La data di entrambi questi scritti è considerevolmente posteriore al sorgere del montanismo. Apollonio si colloca 40 anni dopo il suo primo inizio. Al tempo dell’Anonimo i primi leader dello scisma erano scomparsi dalla scena. Montano era morto, così come Teodoto, uno dei primi leader del movimento, che probabilmente ne aveva gestito le finanze, poiché si dice che fosse stato nei suoi confronti una sorta di ἐπίτροπος. L’Anonimo afferma che al momento in cui scriveva erano trascorsi 13 anni pieni e un 14° era iniziato dalla morte di Maximilla. Priscilla deve essere morta prima, perché Maximilla si credeva l’ultima profetessa della chiesa e che dopo di lei sarebbe arrivata la fine.
Themiso sembra essere stato, dopo Montano, il capo dei montanisti. Era in ogni caso il loro uomo di punta a Pepuza; e questa era la sede della setta. Lì probabilmente Montano aveva insegnato; lì risiedevano le profetesse Priscilla e Massimilla; lì Priscilla aveva visto in una visione Cristo venire sotto forma di una donna con una veste luminosa, che le ispirò la saggezza e la informò che Pepuza era il luogo santo e che lì la Nuova Gerusalemme doveva scendere dal cielo. Da allora Pepuza e il vicino villaggio di Tymium divennero il luogo santo montanista, di cui si parla abitualmente come Gerusalemme. Lì Zotico e Giuliano visitarono Maximilla, e Temiso fu allora a capo di coloro che impedirono il previsto esorcismo.
Montano stesso probabilmente non visse a lungo per presiedere alla sua setta, ed è forse per questo che essa viene raramente chiamata con il nome del suo fondatore. I settari chiamavano se stessi πνευματικοί, spirituale, e gli aderenti alla chiesa ψυχικοί, carnale, seguendo così l’uso di alcune sette gnostiche. Nella stessa Frigia 740 i cattolici sembrano aver chiamato la nuova profezia con il nome del suo capo per il momento. Altrove fu chiamata come il suo luogo d’origine, l’eresia frigia. In Occidente il nome divenne per un solecismo l’eresia catafrigiana.
A quanto pare dopo Themiso MILTIADES presiedeva la setta; l’Anonimo la chiama eresia τῶν κατὰ Μιλτιάδην. Un altro montanista di questo periodo fu Alessandro, che fu onorato dal suo partito come martire, ma che, secondo Apollonio, era stato solo punito dal proconsole Aemilio Frontino per i suoi crimini, come testimonierebbe la documentazione pubblica. Non possiamo, purtroppo, fissare la data di questo proconsole.
Prendendo la data eusebiana, 172, per il sorgere del montanismo, Apollonio, che scrive 40 anni dopo, deve aver scritto verso il 210. La data epifanica, 157, lo farebbe precedere di 15 anni. L’Anonimo ci dà un indizio della sua datazione nell’affermazione che mentre Massimilla aveva predetto guerre e tumulti, c’erano stati più di 13 anni dalla sua morte senza guerra generale o parziale, e i cristiani avevano goduto di una pace continua. Questo, quindi, deve essere stato scritto o prima che le guerre del regno di Severo fossero iniziate o dopo la loro fine. L’ultima data ammissibile per la prima ipotesi ci dà 192, e per la morte di Maximilla 179. È poco probabile che in così poco tempo siano morti tutti i capi originari del movimento.
Prima della fine del II sec. I maestri montanisti si erano fatti strada fino ad Antiochia; infatti Serapione, il vescovo di lì, scrisse contro di loro, copiando la lettera di Apolinare. È attraverso Serapione che Eusebio sembra aver conosciuto questa lettera.
All’inizio del III secolo la chiesa aveva fatto abbastanza convertiti dai montanisti nati nella setta perché sorgesse la domanda: A quali condizioni dovevano essere ricevuti i convertiti che non avevano avuto altro battesimo che quello montanista? La materia e la forma erano perfettamente regolari, poiché in tutti i punti essenziali della dottrina questi settari erano d’accordo con la chiesa. Ma fu deciso, in un concilio tenuto a Iconio, di non riconoscere alcun battesimo dato al di fuori della chiesa. Questo lo apprendiamo dalla lettera a Cipriano di Firmiliano di Cesarea in Cappadocia, quando sorse la successiva controversia sul battesimo eretico. Questo concilio, e uno che prese una decisione simile in un’altra città frigia, Synnada, sono menzionati anche da. Dionigi di Alessandria (Eus. vii. 7). Firmiliano parla come se fosse stato presente al concilio di Iconio, che può essere datato intorno al 230.
Talmente i cattolici avevano cessato di considerare i montanisti come fratelli cristiani che, come afferma l’Anonimo, quando la persecuzione del nemico comune gettò insieme i confessori di entrambi i corpi, gli ortodossi perseverarono fino al loro martirio finale nel rifiutare di avere rapporti con i loro compagni di sofferenza montanisti; temendo di avere qualsiasi amicizia con lo spirito bugiardo che li animava. Epifanio afferma che al suo tempo la setta aveva molti aderenti in Frigia, Galazia, Cappadocia e Cilicia, e un numero considerevole a Costantinopoli.
III. Se mettiamo da parte l’inutile Praedestinatus, non c’è alcuna prova che nessun vescovo romano prima di Eleuterio avesse sentito parlare del montanismo, e la storia dell’interferenza dei confessori gallici nel 177 mostra che era allora una cosa nuova in Occidente. Il caso sottoposto ad Eleuterio senza dubbio lo informò per lettera degli eventi in Frigia; ma apparentemente nessun maestro montanista visitò l’Occidente in questo periodo, e dopo il giudizio di Eleuterio l’intera transazione sembra essere stata dimenticata a Roma. Fu in un episcopato successivo che il primo maestro montanista, probabilmente Proclo, apparve a Roma. Non c’era motivo di considerarlo con sospetto. Egli poteva facilmente soddisfare il vescovo della sua perfetta ortodossia nella dottrina; e non c’era motivo di non credere a ciò che egli poteva raccontare delle manifestazioni soprannaturali nel suo paese. Fu quindi ricevuto in comunione, o stava per esserlo e per ottenere l’autorità di riferire alle sue chiese in Asia che le loro lettere elogiative erano riconosciute a Roma, quando l’arrivo di un altro asiatico, Prassia, cambiò la scena. Prasse poteva mostrare al vescovo romano che le pretese montaniste di profezia erano state condannate dai suoi predecessori, e probabilmente la lettera di Eleuterio era ancora accessibile negli archivi romani. La giustizia di questa precedente condanna Prassede poteva essere confermata dalla sua conoscenza delle chiese montaniste e delle loro profezie; e la sua testimonianza aveva tanto più peso in quanto, avendo sofferto il carcere per la fede, godeva della dignità di martire. Il maestro montanista fu quindi messo fuori dalla comunione a Roma. Questa storia, che ha tutti i segni della probabilità, è raccontata da Tertulliano (adv. Prax.), che probabilmente aveva conoscenza personale dei fatti. Il vescovo poteva essere solo Zefirino, perché non possiamo andare oltre; e poiché si parla di predecessori al plurale, questi devono essere stati Eleuterio e Vittore. La conclusione a cui siamo giunti, che il montanismo non fece alcuna apparizione in Occidente prima dell’episcopato di Zefirino, è di grande importanza nella cronologia di questa controversia.
Il rifiuto formale del montanismo da parte della chiesa romana fu seguito da una disputa pubblica tra il maestro montanista Proclo e Caio, un importante presbitero romano. Eusebio, che ne ha letto il resoconto, dice che ebbe luogo sotto Zefirino. I predicatori montanisti, nonostante i loro fallimenti, ebbero un successo distinto nell’acquisizione di Tertulliano. Apparentemente la condanna del vescovo romano non era nella sua mente decisiva contro le rivendicazioni montaniste, ed egli si impegnò in una difesa di esse che portò alla sua separazione dalla chiesa. I suoi scritti sono il grande deposito di informazioni sulle peculiarità dell’insegnamento montanista. I montanisti italiani furono presto divisi dallo scisma scaturito dalla violenta controversia patripassiana a Roma all’inizio del III secolo. Tra i montanisti, Eschine era il capo del partito patripassiano, e in questo sembrerebbe da un estratto di Didimo che egli seguisse Montano stesso; Proclo e i suoi seguaci aderirono alla dottrina ortodossa su questo argomento.
IV. Il Montanismo e il Canone.- La più 741fondamentale innovazione dell’insegnamento montanista era la teoria di uno sviluppo autorizzato della dottrina cristiana, in opposizione alla più antica teoria che la dottrina cristiana era stata predicata nella sua completezza dagli apostoli e che la chiesa doveva semplicemente conservare fedelmente la tradizione del loro insegnamento. I montanisti non rigettarono le rivelazioni apostoliche né abbandonarono alcuna dottrina che la chiesa aveva appreso dai suoi maestri più anziani. Le rivelazioni della nuova profezia dovevano integrare, non sostituire, le Scritture. Essi credevano che mentre le verità fondamentali della fede rimanevano irremovibili, i punti sia della disciplina che della dottrina potevano ricevere delle correzioni. “Un processo di sviluppo è stato esposto nelle rivelazioni di Dio. Aveva il suo principio rudimentale nella religione della natura, la sua infanzia nella legge e nei profeti, la sua giovinezza nel vangelo, la sua piena maturità solo nella dispensazione del Paraclito. Attraverso la sua illuminazione i luoghi oscuri della Scrittura sono resi chiari, le parabole sono rese chiare, quei passi di cui gli eretici avevano approfittato sono stati liberati da ogni ambiguità” (Tert. de Virg. Vel. i.; de Res. Carn. 63). Di conseguenza Tertulliano si appella alle nuove rivelazioni su questioni di disciplina, ad esempio sui secondi matrimoni, e anche su questioni di dottrina, come nella sua opera contro Prasse e nel suo trattato sulla risurrezione della carne. Alcuni hanno pensato che fosse una cosa da rimpiangere che la chiesa con la sua condanna del montanismo avesse soppresso la libertà di profetizzazione individuale. Ma ogni nuova rivelazione profetica, se riconosciuta come divina, avrebbe posto un freno alle future speculazioni individuali tanto grande quanto le parole della Scrittura o il decreto del papa o del concilio. Se il montanismo avesse trionfato, la dottrina cristiana sarebbe stata sviluppata, non sotto la supervisione dei maestri della chiesa più stimati per la saggezza, ma di solito da donne selvagge ed eccitabili. Così Tertulliano stesso deriva la sua dottrina sulla materialità e la forma dell’anima da una rivelazione fatta a un’estatica della sua congregazione (de Anima, 9). Ai montanisti sembrava che se lo Spirito di Dio faceva conoscere qualcosa come vero, quella verità non poteva essere pubblicata troppo estesamente. È evidente dalle citazioni di Epifanio e Tertulliano che le profezie di Massimilla e Montano furono messe per iscritto. Per coloro che credevano nella loro ispirazione divina, queste sarebbero state praticamente delle Scritture aggiuntive. Ippolito racconta che i montanisti “hanno un’infinità di libri di questi profeti di cui non esaminano le parole con la ragione, né danno retta a chi può farlo, ma si lasciano trasportare dalla loro fede indiscriminata in essi, pensando di imparare per mezzo loro qualcosa di più che dalla legge, dai profeti e dai vangeli”. Didimo si scandalizza di un libro profetico emanato da una donna, alla quale l’apostolo non permetteva di insegnare. Sarebbe un errore supporre che le dispute montaniste abbiano portato alla formazione di un canone del N.T. Al contrario, è chiaro che quando queste controversie sorsero, i cristiani avevano talmente chiuso il loro canone del N.T. che erano scandalizzati dal fatto che qualsiasi scrittura moderna dovesse essere resa uguale ai libri ispirati dell’epoca apostolica. Le dispute montaniste portarono alla pubblicazione di liste riconosciute da chiese particolari, e noi consideriamo che fu in opposizione alla moltitudine di libri profetici montanisti che Caio nella sua disputa diede una lista riconosciuta dalla sua chiesa. La controversia rese anche i cristiani più scrupolosi nel tributare ad altri libri gli stessi onori tributati ai libri della Scrittura, e crediamo che fu per questa ragione che il Pastore di Erma cessò di avere un posto nella lettura della chiesa. Ma ci sembra comunque chiaro dalla storia che la concezione di un canone chiuso del N.T. fu trovata dal montanismo e non creata in seguito.
V. Dottrine e pratiche montaniste – La Chiesa si opponeva, contro il Montanismo, a qualsiasi aggiunta all’insegnamento della Scrittura. Qual era dunque la natura delle aggiunte effettivamente fatte dai montanisti?
(1) Nuovi digiuni.- Le profetesse avevano ordinato che, oltre al digiuno pasquale ordinario della chiesa, si osservassero due settimane di quella che veniva chiamata Xerofagia. In queste settimane i montanisti si astenevano non solo dalla carne, dal vino e dall’uso del bagno, ma da ogni cibo succulento, ad esempio frutta succosa, tranne il sabato e la domenica. Anche le stazioni settimanali, o mezzi digiuni, che nella chiesa terminavano alle tre del pomeriggio, erano dai montanisti solitamente continuate fino a sera. Il partito della chiesa resisteva alla pretesa che queste due nuove settimane di astinenza fossero divinamente obbligatorie. La vera domanda era: la profetessa aveva il comando di Dio per istituirle? Questa particolare rivelazione venne alla ribalta solo perché a intervalli ricorrenti poneva una marcata differenza tra montanisti e cattolici, simile a quella che il digiuno pasquale poneva tra cristiani e pagani.
(2) Secondi matrimoni.- Anche su questo argomento la differenza tra i montanisti e la chiesa si riduce veramente alla questione se il Paraclito abbia parlato per mezzo di Montano. I secondi matrimoni erano stati considerati con disfavore nella chiesa prima di Montano. Tertulliano li depreca con quasi altrettanta energia nella sua opera pre-montanista ad Uxorem che dopo nel suo montanista de Monogamia. Ma per quanto sfavorevolmente tali matrimoni fossero considerati, la loro validità e legalità non erano negate. San Paolo sembrava dichiarare che tali matrimoni non erano proibiti (Rom. vii. 3; I. Cor. vii. 39), e la direzione nelle epistole pastorali che un vescovo dovesse essere marito di una sola moglie sembrava lasciare gli altri liberi.
(3) Disciplina della Chiesa.- Il trattato di Tertulliano (de Pudicitia) mostra una controversia dei Montanisti con la Chiesa riguardo al potere degli ufficiali della Chiesa di dare l’assoluzione. L’occasione fu la pubblicazione, da parte di uno che Tertulliano chiama sarcasticamente “Pontifex Maximus” ed “Episcopus Episcoporum”, di un editto di perdono per le persone colpevoli di adulterio e fornicazione dietro la dovuta esecuzione della penitenza. Senza dubbio si intende un vescovo di Roma, e poiché Ippolito dice (ix. 12) che Callisto fu il primo a introdurre tale lassismo nel concedere l’assoluzione, sembra chiaro che Callisto fosse riferito. Tertulliano sostiene che per tale peccato l’assoluzione non dovrebbe mai essere data. Non che il peccatore dovesse disperare di ottenere il perdono di Dio con il pentimento; 742ma era solo Dio a perdonare; l’uomo non poteva.
Rimandiamo al nostro art. TERTULLIANO per altre dottrine che, sebbene sostenute da Tertulliano ai suoi tempi montanisti, non ci sentiamo autorizzati a classificare come montaniste, in mancanza di prove che Tertulliano le avesse apprese da Montano, o che fossero tenute da montanisti orientali. La maggior parte di ciò che Tertulliano insegnava come montanista, l’avrebbe probabilmente insegnato anche se Montano non fosse mai vissuto; ma a causa del posto che il montanismo attribuiva alle visioni e alle rivelazioni come mezzi per ottenere la conoscenza della verità, la sua convinzione delle sue opinioni fu convertita in certezza quando esse furono riecheggiate da profetesse che nelle loro visioni davano voce alle opinioni assimilate dal loro maestro nelle loro ore di veglia.
VI. Più tardi la storia del montanismo. Dal linguaggio di Tertulliano (adv. Prax.) deduciamo che passò del tempo prima che la sua persistente difesa del montanismo gli procurasse la scomunica. A questo intervallo si riferiscono gli Atti di Perpetua e Felicitas, nel cui redattore possiamo forse riconoscere Tertulliano stesso. Sia i martiri che il martirologo erano stati chiaramente sotto l’influenza montanista: grande importanza è data alle visioni e alle rivelazioni, e il redattore giustifica la composizione di nuovi Atti, destinati alla lettura in chiesa, con la motivazione che gli “ultimi giorni” in cui viveva erano stati testimoni, come era stato profetizzato, di nuove visioni, nuove profezie, nuove esibizioni della potente opera dello Spirito di Dio, grandi come o più grandi che in ogni epoca precedente. Eppure i martiri sono evidentemente in piena comunione con la chiesa. Lo scisma che ebbe luogo subito dopo sembra essere stato di scarsa importanza sia in termini di numero che di durata. Non sentiamo nulla dei montanisti negli scritti di Cipriano, la cui venerazione per Tertulliano difficilmente sarebbe stata così grande se la sua chiesa stesse ancora soffrendo di uno scisma originato da Tertulliano. Nel prossimo cent. Optato (i. 9) parla del montanismo come di un’eresia estinta, che sarebbe stato come uccidere gli uccisi per confutare. Eppure c’erano alcuni che si chiamavano come Tertulliano nel IV secolo. Agostino (Haer. 86) a Cartagine sentì che una nota chiesa che prima apparteneva ai Tertullianisti era stata ceduta ai cattolici quando l’ultimo di loro ritornò alla chiesa. Evidentemente non aveva sentito alcuna tradizione riguardo ai loro principi, e si mise a cercare negli scritti di Tertulliano le eresie che presumibilmente essi avrebbero potuto sostenere. Altrove in Occidente il montanismo scompare completamente.
In Oriente, abbiamo già menzionato i concili di Iconio e di Synnada. C’è una menzione del montanismo negli Atti di Achatius (Ruinart, p. 152). Sebbene questi Atti manchino di attestazioni esterne, le prove interne favoriscono fortemente la loro autenticità. La loro scena è incerta; l’epoca è la persecuzione decana del 250 d.C. Il magistrato, sollecitando Achatius al sacrificio, lo incalza con l’esempio dei Catafrigi, “homines antiquae religionis”, che si erano già conformati. Sozomen (ii. 32) attribuisce l’estinzione dei montanisti, così come di altre sette eretiche, all’editto di Costantino che li privò dei loro luoghi di culto e proibì le loro riunioni religiose. Fino ad allora, essendo confusi dai governanti pagani con altri cristiani, potevano riunirsi per il culto e, anche quando erano pochi, stare insieme; ma l’editto di Costantino uccise tutte le sette più deboli, e tra queste i montanisti, ovunque tranne che in Frigia e nei distretti vicini, dove erano ancora numerosi al tempo di Sozomen. Egli dice (vii. 18) che, a differenza della Scizia, dove un solo vescovo regnava su tutta la provincia, tra questi eretici frigici ogni villaggio aveva il suo vescovo. Alla fine lo zelo ortodosso di Giustiniano prese misure per schiacciare i resti della setta in Frigia, e i montanisti in preda alla disperazione si riunirono con mogli e figli nei loro luoghi di culto, li incendiarono, e lì perirono (Procop. Hist. Arc. 11). In connessione con questo può essere preso ciò che è detto di Giovanni di Efeso nello stesso regno di Giustiniano (Assemani, Bibl. Or. ii. 88), che a.d. 550 egli fece scavare e bruciare le ossa di Montano e delle sue profetesse Carata, Prisca, e Maximilla. Cosa sia mascherato sotto il nome di Carata non possiamo dirlo. È poco probabile che il montanismo sia sopravvissuto alla persecuzione di Giustiniano. Oltre ai Catafrigi furono spesso chiamati dalla loro sede, Pepuzani, che Epifanio conta come un’eresia distinta. La migliore monografia sul montanismo è di Bonwetsch (Erlangen, 1881). Vedi anche Zahn, Forschanger zur Gesch. des N. T. Kanons, etc. (1893), v. 3 ss., sulla cronologia del montanismo.