Nel 1972, le artiste Judy Chicago e Miriam Schapiro crearono Womanhouse, un’installazione d’arte femminista sperimentale ed esperienziale con installazioni, sculture, tessuti e performance art in una fatiscente casa di Hollywood. Questa primavera, una nuova puntata, chiamata Women House, mette in mostra una nuova generazione di artiste femministe al National Museum of Women in the Arts di Washington, D.C.
Anche se Women House presenterà solo due delle ventitré artiste presenti nell’originale (le creatrici Chicago e Schapiro), è chiaro che Womanhouse ha posto le basi per la pratica e la teoria dell’arte femminista attuale. A partire dal 1971, Chicago e Schapiro iniziarono a lavorare alla creazione di Womanhouse. Questo sforzo crebbe dal ritrovato Feminist Art Program al California Institute of the Arts, con ventuno donne che studiavano sotto la loro tutela.
Come ha ricordato Miriam Schapiro nel 1987, “il nostro scopo era di rifare la vecchia casa in un luogo di sogni e fantasie. Ogni stanza sarebbe stata trasformata in un ambiente artistico non funzionante”. C’era la Nurturant Kitchen (di Susan Frazier, Vicki Hodgetts e Robin Weltsch), Lipstick Bathroom (di Camille Grey) e Shoe Closet (di Beth Bachenheimer), per citare alcune delle installazioni.
Nel 2006, la storica dell’arte Temma Balducci ha spiegato la potente metodologia con cui gli artisti si sono impegnati in Womanhouse. Scrive: “Gli artisti che hanno prodotto Womanhouse hanno usato la parodia e l’esagerazione come strumenti per minare gli stereotipi essenzialisti sulle donne che le limitavano ai ruoli domestici, rendendola una delle prime opere d’arte femminista a mettere in discussione i confini tra il significato essenziale e quello costruito.”
Gli spettatori si sarebbero fatti strada attraverso questa casa, confrontati e sfidati dalle parodie delle aspettative della società. In Shoe Closet, per esempio, gli spettatori incontravano un armadio pieno di tacchi alti dipinti, suggerendo la trasformazione della donna da soggetto a oggetto come una casalinga “che deve continuamente cambiare il suo costume e la sua maschera per il piacere del marito”
Balducci considera perché Womanhouse “ha generato così poco interesse scientifico”. Le ragioni che esamina sono stratificate, anche se alla fine il tempismo potrebbe averci a che fare, dal momento che “è stato prodotto così presto” nel movimento artistico femminista che “il linguaggio critico e la comprensione non erano ancora in atto per affrontare le complicate questioni trattate nell’opera”
Schapiro fa eco a questo sentimento nei suoi ricordi: “Era il 1971, la rivoluzione silenziosa era già iniziata e alcuni di noi ne facevano parte. Ci veniva detto da donne brillanti e creative che potevamo e avremmo realizzato i nostri destini.”
Con Women House, il National Museum of Women in the Arts invita trentasei artisti globali a sfidare ed esplorare le costruzioni di genere e la sfera domestica. Anche se la mostra di oggi potrebbe non rivelarsi innovativa come quella del 1972, è sicuro che renderà omaggio al suo predecessore. Schapiro ha sostenuto che Womanhouse ha introdotto “contenuti nell’arte moderna mainstream… basati sulla vita delle donne”. Women House continua su questa linea, invitando una vasta gamma di voci e contenuti in questa conversazione in corso.