When Found Photographs Tell New Stories

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Vista dell’installazione al Pier 24 Photography di Erik Kessels, “24 HRS in Photos” (2013), C-prints (tutte le immagini per gentile concessione di Pier 24 Photography, San Francisco)

SAN FRANCISCO – Situato direttamente sotto il Bay Bridge a San Francisco, Pier 24 Photography occupa un magazzino di 28.000 piedi quadrati originariamente costruito nel 1935. Lo spazio espositivo – descritto come un museo o una galleria – combina l’architettura originale del molo con gli interni eleganti e neutri comuni alle istituzioni di arte contemporanea. Lo spazio convertito e ibrido crea un fortuito parallelo con l’attuale mostra del Pier 24, Secondhand, che presenta tredici artisti che usano fotografie trovate per creare immagini composite che esaminano il presente attraverso una ricostruzione del passato.

Appropriandosi di vecchie fotografie, questi artisti piegano la nostra nozione di tempo lineare in una sorta di spirale strettamente avvolta; quando un’immagine viene riciclata si muove verso una nuova identità, pur mantenendo un riferimento alla sua forma originale. Questa stratificazione arricchisce e frammenta simultaneamente un’immagine, a seconda di ciò che gli artisti scelgono di salvare o omettere.

Molte delle opere esposte in Secondhand sono valorizzate dalla loro qualità scultorea. Le installazioni di Erik Kessels, “Photo Cubes” (2007), “Album Beauty” (2012), e “24 HRS in Photos” (2013) sono tra le più grandi della mostra, ognuna di esse esagerata nelle dimensioni o nella quantità. Con cubi di foto in plexiglass alti fino alla vita, una stanza di album fotografici a parete e ritagli, e un’onda dal pavimento al soffitto di foto lucide da farmacia 4×6 pollici, le opere rappresentano solo una piccola parte delle innumerevoli fotografie trovate che Kessels ha accumulato nella sua ricerca attraverso i ricordi di altre persone. In un’intervista con Pier 24, Kessels ha spiegato che cerca i “bellissimi errori” nelle fotografie vernacolari, e che “un dilettante è qualcuno che osa fare questi errori”. L’incessante curiosità di Kessels ha dato vita a una collezione che rivela le miracolose imperfezioni – come i tentativi sinceri, ma sempre falliti, di una famiglia di fotografare il loro cane nero, con il risultato di una serie di immagini che presentano ciascuna un vuoto a forma di cane – che possono verificarsi quando le persone registrano le loro vite.

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Vista dell’installazione di ‘Secondhand’ al Pier 24 Photography

I doni senza pretese e involontari dei fotografi dilettanti assumono una forma completamente diversa attraverso il progetto di Larry Sultan e Mike Mandel, “Evidence” (1977). Raccolte da oltre 100 archivi pubblici e privati di società, governo, istituzioni mediche ed educative, le immagini in bianco e nero dimostrano che il mondo reale è spesso molto più strano di qualsiasi finzione. Disposto sul muro in una sequenza narrativa, “Evidence” mette in evidenza la magistrale narrazione di Sultan e Mandel attraverso il montaggio: un’immagine di quelle che sembrano essere brande, bidoni della spazzatura ed estintori sistemati in un campo aperto è appesa al muro accanto a un’immagine di uomini e un albero che si stagliano in una serra cuboide semitrasparente, creando una contraddizione di spazi interni ed esterni. Immagini che prima non avevano alcuna connessione tra loro diventano improvvisamente inseparabili attraverso connessioni visive o metaforiche.

Melissa Catanese usa un simile processo di appropriazione in “Dive Dark Dream Slow” (2012), anche se invece del surrealismo sfacciato di “Evidence”, Catanese crea una narrazione allucinatoria satura di paura e desiderio: donne supine e in bikini si trasformano in cadaveri rigidi o corpi levitanti; una doppia esposizione trasforma i profili destro e sinistro di una donna in un’apatica maschera di Giano; un trofeo che galleggia su una parete offre due opzioni: vincere o perdere. Attraverso le mani di Catanese, le immagini diventano una poesia redatta che nasce dal massiccio archivio di fotografie vernacolari da cui sono state selezionate: come finestre molto attentamente collocate in un muro altrimenti impenetrabile.

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Viktoria Binschtok, “World of Details” (2011-2012), C-prints and inkjet prints (installation view)

Secondhand presenta anche fotografi contemporanei che combinano fotografie trovate con le loro, le quali, sebbene siano radicate in un arco temporale più recente, giocano anche con la capacità del mezzo di sospendere e trascendere il tempo e lo spazio. Per la sua serie “World of Details” (2011-12), Viktoria Binschtok ha iniziato esplorando le strade di New York City attraverso Google Street View dal suo studio a Berlino, e scattando foto sullo schermo dei suoi incontri mediati dal digitale. Poi ha viaggiato a New York, ha visitato i luoghi degli screenshot e ha fatto fotografie analogiche a colori di grande formato di un dettaglio all’interno di quel luogo. Infine, li ha assemblati in dittici come piccoli screenshot in bianco e nero e grandi stampe a colori, che sono appesi ad altezze sfalsate in una delle stanze del Pier 24. L’effetto dell’intenso processo di viaggio di Binschtok attraverso il tempo e lo spazio è duplice: l’estremo isolamento psicologico delle vedute di Google Street Image – pixellate, in scala di grigi, con un qualsiasi numero di volti umani sfocati – portano un’intimità umanizzante attraverso le immagini a colori. Binschtok permea il freddo esterno digitale e mostra ai suoi spettatori le notevoli specificità di questi spazi altrimenti irrilevanti.

In una simile, anche se più localizzata compressione di tempo e luogo, Daniel Gordon e Matt Lipps ri-fotografano collage di immagini trovate per fare riferimento alla storia dell’arte e dei media pubblicitari e creare spazi incantamente tridimensionali all’interno del piano fotografico bidimensionale. Gordon costruisce oggetti tridimensionali a grandezza naturale, che poi dispone come rauche e sgargianti nature morte che minano gioiosamente le loro composizioni tradizionali con colori brillanti e modelli contrastanti. Lipps ha raccolto immagini dalla rivista Horizon, pubblicata dal 1958 al 1989, il cui obiettivo era quello di presentare al popolo americano un modello di “buon gusto”. Egli raggruppa le immagini in categorie proprie, come “gioventù”, “forma” o “teste di donna”, per esaminare i modi in cui i media rappresentano diversi aspetti della cultura.

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Detail of Daniel Gordon, “Root Vegetables and Avocado Plant” (2014), C-Print, 60 x 50″

Guardare le fotografie trovate in Secondhand suscita l’inevitabile seduzione di scavare nella vita registrata di uno sconosciuto, alla ricerca degli intimi segreti su chi fosse quella persona. Gli artisti in mostra trattano l’intera storia delle immagini come una sorta di album di famiglia per la razza umana, offrendo agli spettatori un modo per riconsiderare il modo in cui la fotografia si muove tra passato e presente.

Secondhand continua al Pier 24 Photography (Pier 24 The Embarcadero,
San Francisco) fino al 31 maggio.

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