I secoli XVII e XVIII

Dopo la stampa, la successiva influenza significativa sull’esecuzione musicale fu il graduale emergere del pubblico, poiché il rapporto tra i partecipanti all’esperienza musicale – tra esecutore e ascoltatore – si polarizzò. La prima prova di questo cambiamento fu l’ascesa del virtuoso vocale professionista nell’ultimo quarto del XVI secolo, e questo sviluppo ebbe presto una profonda influenza sullo stile musicale. I compositori-cantanti italiani, come Giulio Caccini e Jacopo Peri, reagirono rapidamente al desiderio del loro pubblico di un vocalismo più espressivo e appassionato, e la musica che scrissero per loro stessi fu imitata e raffinata da altri compositori, come l’italiano Claudio Monteverdi, i cui nove libri successivi di madrigali documentano i cambiamenti di stile da musica composta per quattro o sei voci essenzialmente uguali a musica in cui l’interesse risiede principalmente agli estremi della tessitura. La base tecnica di questo nuovo stile monodico era il basso continuo, o basso completo, suonato da uno o più strumenti solisti polifonici che “realizzavano” un “basso figurato”: cioè improvvisavano accordi sopra una singola linea di musica fornita di numeri e altri simboli per indicare le altre note degli accordi. Nel XVII secolo si usava una grande varietà di strumenti di continuo, tra cui liuto, tiorba, arpa, clavicembalo e organo. Nel XVIII secolo la pratica era più standardizzata: la linea del basso veniva realizzata su uno strumento a tastiera e rinforzata da uno strumento basso monofonico, come il liuto, la viola da gamba, il violoncello o il fagotto. Il continuista non solo completava l’armonia, ma poteva anche controllare il ritmo e il tempo per adattarsi alle condizioni particolari di un’esecuzione.

Lo sviluppo della monodia era di per sé una precondizione necessaria per la più costosa di tutte le istituzioni di esecuzione, l’opera. Iniziata a Firenze alla fine del XVI secolo, l’opera si diffuse presto in tutta Italia: attraverso Roma, dove la sua natura inizialmente pastorale maturò in uno spettacolo vero e proprio, fino a Venezia, dove il primo teatro lirico pubblico aprì nel 1637. Lì, sebbene il pubblico fosse ancora aristocratico, l’opera dipendeva dalla vendita di biglietti piuttosto che dal mecenatismo reale, e la performance musicale iniziò a trovare un metodo completamente nuovo di sostegno economico.

Nel regno della musica puramente strumentale, la nuova economia della performance fu più lenta ad emergere, ma ci furono molti altri nuovi sviluppi. Lo strumento rinascimentale di gran lunga più popolare era stato il versatile liuto; esso serviva tutti i livelli, dalla figlia del mercante che imparava la più semplice melodia di danza al virtuoso. Nel XVII secolo il liuto cominciò a cedere il passo agli strumenti a tastiera, ma la musica intima dei clavecinistes francesi (clavicembalisti) era ancora un chiaro risultato del prezioso ed evanescente stile esecutivo del liutista del XVII secolo Denis Gaultier. Più tardi, l’ornamentazione della tastiera cominciò ad essere codificata in tabelle di agrément-simboli pubblicate con ogni nuova raccolta di musica. Anche in Italia i compositori cercavano di fornire agli esecutori indicazioni più esplicite. I sistemi contemporanei di diteggiatura della tastiera, che usavano il pollice molto meno di quelli moderni, servivano anche la preferenza contemporanea per la sottigliezza e l’irregolarità del ritmo. Mentre il secolo progrediva e gli stili nazionali si allontanavano ulteriormente, si sviluppò una tradizione specificamente francese di inégalité: eseguire certe note scritte in modo uniforme in modo diseguale, con valori alternativamente più lunghi e più corti.

Uno sviluppo francese più duraturo fu il primo caso di musica strumentale coerentemente eseguita da più di un esecutore per parte. Nel 1656, Jean-Baptiste Lully fece abbandonare alla sua orchestra, i Petits Violons (“Piccoli violini”), la vecchia tradizione di abbellimento libero e li addestrò ad una precisione disciplinata e ritmicamente puntuale che fu ampiamente imitata. Contemporaneamente, il violino e la sua famiglia, a causa della loro brillantezza appassionata e della loro versatilità, sostituirono le viole come strumenti d’insieme standard, soprattutto rapidamente in Italia, dove l’esecuzione era meno sofisticata, meno manierata e meno contenuta che in Francia.

Nel XVIII secolo, gli stili di esecuzione nazionali tendevano nuovamente a fondersi, tranne nel caso dell’opera. L’opera francese, che aveva raggiunto il suo primo apice sotto Lully e che aveva contato tra i suoi interpreti principali lo stesso Luigi XIV, continuò ad enfatizzare il balletto e la corretta declamazione più che il puro vocalismo. In altre aree, la standardizzazione e la codificazione erano la tendenza. Il posto dell’abbellimento e della variazione improvvisata fu ulteriormente circoscritto, limitato in generale a punti riconosciuti come sezioni ripetute in forme binarie e da capo, movimenti lenti di sonate e concerti, e cadenze. I tutor strumentali di famosi esecutori erano importanti e diffusi.

La fondazione di concerti pubblici aumentò, e le orchestre di tutta Europa seguirono il modello stabilito dal famoso ensemble mantenuto dal principe elettore del Palatino a Mannheim, con la sua dimensione standard (circa 25) e il nuovo stile di esecuzione con effetti dinamici drammatici e dispositivi orchestrali (ad esempio, crescendi, tremoli, grandi pause). I compositori di Mannheim accelerarono anche il declino del basso profondo improvvisato scrivendo parti di riempimento armonico per le viole; la direzione dalla tastiera rimase comunque una pratica standard nel XIX secolo. Nel frattempo, la speculazione imprenditoriale stava finalmente soppiantando il mecenatismo aristocratico come base economica dell’attività concertistica. Joseph Haydn, che aveva già trascorso una carriera completa in Austria, al servizio della casa Esterházy, nel 1791 ne iniziò un’altra e più redditizia in associazione con il direttore di concerti Johann Peter Salomon – dirigendo le sue sinfonie londinesi dal pianoforte.

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